L’amniocentesi è una forma invasiva di diagnosi prenatale.
Questa metodica comporta il prelievo, per mezzo di una puntura, di una piccola
quantità di liquido amniotico (le cosiddette “acque” che circondano il feto
nell’utero durante la gravidanza), attraversando l’addome della donna e il sacco
amniotico (o amnios), ossia la membrana che circonda il feto.
Questa operazione deve essere svolta da un ginecologo esperto mediante
l’utilizzo di un controllo ecografico.
L’amniocentesi si effettua tra la
15° e la 20° settimana di gestazione, quando la cavità amniotica ha raggiunto
dimensioni sufficienti perché la pratica non costituisca un pericolo per il
feto; come nel caso della villocentesi questa procedura è affidata al medico
esperto ed è associata ad un rischio di aborto compreso tra 0.5 e 1%.
L’analisi delle cellule presenti nel liquido amniotico permette di valutare
l’assetto cromosomico fetale (analisi del cariotipo) e il DNA fetale; il livello
di accuratezza e il valore diagnostico dell’esame dipendono dal tipo di indagine
genetica che si decide di intraprendere.
Le indicazioni per l’esecuzione dell’amniocentesi sono le
stesse della villocentesi:
- Età materna superiore a 35 anni
- Presenza di
alterazioni cromosomiche nei genitori
- Storie famigliari di patologie
genetiche
- Alterazioni cromosomiche rilevate in precedenti gravidanze
-
Malformazioni fetali rilevate all’esame ecografico
- Risultato positivo degli
esami fatti con metodi non invasivi (Es.: Test Combinato)
In aggiunta a
queste situazioni, l’amniocentesi è raccomandata nei casi in cui la
villocentesi, eseguita precedentemente, abbia evidenziato una contaminazione del
prelievo con tessuto di origine materna che rende difficile l’interpretazione
dei risultati.